Letteratura 2004
venerdì 30 luglio
ore 21.00
Kikuo Takano
Il cuore sarà la bilancia
su cui pesare il cielo, l’invisibile cielo?
Mettendo il cielo sopra un piatto,
la parola sull’altro,
aspetto che l’ago si fermi,
tormentando la parola.
Kikuo Takano
La Sezione Letteratura di Castelbasso Progetto Cultura sviluppa il tema della manifestazione estiva 2004 incentrato sul rapporto Occidente-Oriente e sulla contaminazione tra le due culture, così feconda di esiti nei vari campi delle espressioni artistiche. Nell’ambito di questo contrappunto culturale la presenza a Castelbasso di Kikuo Takano, poeta giapponese tra i più importanti del XXI secolo (scomparso nel 2006), candidato al premio Nobel, è stato un “acuto sommesso”, proprio nello stile dell’artista, che ha toccato le corde sensibili degli amanti della poesia. Le opere di Kikuo Takano sono state tradotte in Cina, negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Francia e anche in Italia, dove il poeta, per mezzo delle traduzioni di Yasuko Matsumoto e Paolo Lagazzi, comincia ad essere amato, come anche nel resto d’Europa. Ed è importante segnalare come anche nel mondo Internet, specie nei cosiddetti “blog”, delle poesie che i giovani si scambiano e si dedicano molte sono quelle di Takano. Nel poeta giapponese, infatti, si percepiscono le inquietudini del nostro tempo. Figlio della cultura zen per cui niente è durevole, niente ha consistenza e niente è sostanziale, mentre l’essenza più profonda della realtà è la “vacuità” perché priva di ogni forma determinata che la condizionerebbe e limiterebbe, Takano ha arricchito, e di conseguenza influenzato il suo patrimonio culturale, con la frequentazione dell’esistenzialismo occidentale. Martin Heidegger, infatti, gli sottolineava la necessità e la convinzione appassionata della necessità di comprendere l’essere partendo dall’esserci (l’uomo), pur nella certezza della morte e della mancanza di significato dell’esistenza, mentre Karl Jaspers gli lasciava intravedere un’alterità trascendente, una totalità infinita, ma proprio per questo inconoscibile. Ma Takano non demorde. “Dovevo evocare ripetutamente scrivendo chi ha posto sulla terra tutti gli esseri, tutto ciò che esiste. Dovremmo forse chiamarlo l’Essere o l’Ente? Oppure Dio? O forse la parola o il nulla assoluto e semplicemente la trascendenza o l’onnicomprensività? Il problema, in altre parole, è come chiamare l’anima che crede in Dio, come quella che non ci crede… La mia ricerca tende continuamente alla trascendenza che è fondamento della parola e della ragione.” Una ricerca che sconta un altro limite, quello della parola. Come per Heidegger, il patrimonio di parole di cui l’uomo dispone, con le sue regole grammaticali, sintattiche e logiche, pone dei limiti invalicabili a ciò che il poeta può dire. Di qui il suo “tormentare la parola” affinché essa sia pari alla trascendenza, bilanci il significato del cielo. Takano, comunque, pur ponendosi ancora e sempre interrogativi sul mondo e sul senso dell’esistenza, non dimentica mai gli esseri concreti: uomini animali, fiori, foglie. Forse non gli è estraneo quanto afferma un personaggio de “I Fratelli Karamazof” di Dostoevskij: “Dobbiamo amare la vita più del suo significato”. Così se la poesia di Takano viene senz’altro dal buddismo zen, non possono non essere rilevate in essa delle risonanze cristiane: in un certo senso si potrebbe dire che il poeta giapponese è un mistico laico in cui la tensione esistenziale si raccorda con valori quali la pazienza, l’attenzione, l’ascolto, e non dimentica che non c’è verità e bellezza senza giustizia, senza condivisione della nostra umanità. La qualità poetica di Takano risuona dell’eleganza classica dello haiku, il componimento classico giapponese, pur non rispettandone la forma. Nelle sue poesie, infatti, si trovano la limpidezza sognante e incantata della lingua, il sentimento mistico della bellezza racchiusa nella povertà (“una povertà capace di bellezza”, secondo il critico Shuso Yachi), il senso del mistero insondabile della vita. Anche le parole più semplici di Takano irradiano il senso sottile di una tensione, il pathos di una domanda. La sua lingua si schiude sempre in un altrove: e mentre dipinge con brevi tratti il mondo, sempre allude a ciò che lo trascende. La lirica orientale attrae e affascina, nei suoi generi classici come il tanka e lo haiku, per la loro essenzialità e la loro magia. Essa appartiene a una cultura tanto profonda quanto estranea alla nostra, tale cioè da risultare per molti aspetti ardua, o impossibile da penetrare nell’insieme della sua complessità. Takano riesce, però, d’incanto, a far apparire quasi famigliare una realtà così lontana, una sensibilità estetica che ha ben altre origini dalla nostra. I suoi legami con poeti e pensatori occidentali gli consente, infatti, di muoversi tra vissuto e trascendenza, tra ombra e ascensione luminosa, tra dimensione minima dell’esperienza e spinta al senso vivo della vastità. Come scrive Paolo Lagazzi, suo traduttore insieme a Yasuko Matsumoto, Takano ha il merito incomparabile di aver saputo realizzare un “incrocio quieto e ardente tra verticalità e pacatezza… tra tensione metafisica e quotidianità.”
Takano a Castelbasso ha testimoniato la possibilità d’incontro e di reciproco arricchimento di culture diverse. Egli è stato protagonista di un reading poetico in cui un attore ha recitato e un mezzosoprano (la stessa Matsumoto) ha cantato alcuni suoi testi (musicati in Giappone da famosi compositori). Così la poesia ha ritrovato l’oralità della sua origine: il suo respiro, il suo sangue, la sua linfa, il suo batticuore. Tutto ciò che l’ha animata per tempi incalcolabili prima dell’avvento della scrittura. I poeti, come ha detto benissimo Paul Zumthor, tra i massimi studiosi di letteratura medioevale, “vivono nello spazio della scrittura come in esilio, e aspettano sempre qualcuno in grado di liberarli, di restituire le loro parole al respiro del mondo, agli spazi ariosi e concreti dell’ascolto diretto”. Come è stato possibile a Castelbasso.