a cura di Simone Ciglia
Palazzo Clemente
22 luglio – 2 settembre 2018
ArtistaMatteo FatoAnno2018
Il progetto Sarà presente l’artista nasce con l’intento di riaffermare la centralità della figura dell’artista, richiamata nel titolo che cita ironicamente un’espressione utilizzata in passato negli inviti delle mostre. Con cadenza annuale, un artista è invitato a vestire i panni del curatore, riallestendo la collezione della Fondazione Malvina Menegaz in dialogo con il proprio lavoro.
Nel primo episodio della serie, Matteo Fato prende spunto da un ritratto anonimo di astronomo – l’opera più antica della collezione – per costruire una riflessione sull’osservazione e sull’essere contemporaneo che ripercorre il pensiero di Giorgio Agamben. In “Che cos’è il contemporaneo?” (2008), il filosofo descrive il rapporto fra l’uomo e il proprio tempo attraverso una metafora celeste. La luminosità delle stelle nell’oscurità del cielo viene spiegata dall’astrofisica per via dell’allontanamento delle galassie, la cui luce viaggia a una velocità inferiore che le impedisce di raggiungere la terra. Allo stesso modo – afferma Agamben – anche «il nostro tempo, il presente, non soltanto è il più lontano, ma non può in nessun caso raggiungerci». Da qui deriva la paradossale necessità – già sottolineata da Nietzsche – di essere inattuale per riuscire a cogliere il proprio tempo: «È davvero contemporaneo chi non coincide perfettamente col suo tempo né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo».
Da questa esigenza nasce anche il progetto curatoriale di Fato, che concepisce nelle sale di Palazzo Clementi un percorso espositivo fondato sullo sfalsamento temporale. La sua scelta si orienta verso autori italiani che spaziano dal secondo Ottocento al Novecento – fra questi, Franco Angeli, Luigi Boille, Tano Festa, Francesco Paolo Michetti, Ettore Spalletti, Giulio Turcato – in un allestimento che immagina lo spazio «come un foglio in cui disporre pittoricamente gli oggetti». Il loro lavoro è messo in dialogo con quello di Fato, che ha costruito la propria disciplina esplorando i bordi fra immagine e segno, una regione al confine fra pittura e scultura. Da questo incontro nasce l’invito allo spettatore a percepire quello che Agamben dice «il buio del presente».
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